Autore: Antonino Ferro
Editore: Raffaello Cortina Editore
Anno: 2017
Il difficile non è raggiungere qualcosa,
è liberarsi dalla condizione in cui si è.
Marguerite Duras (L’amante)
In questo libro, fresco di stampa, troviamo il dialogo tra Antonino Ferro, uno dei più autorevoli psicoanalisti contemporanei e il curatore. È una narrazione del passaggio dalla psicoanalisi ortodossa a quella innovativa alla quale A. Ferro ha dato un importante contributo.
Ogni capitolo apre con una citazione che prepara il lettore ai contenuti che saranno affrontati. Mi sono così ricordata delle parole di Marguerite Duras nel romanzo L’amante, e credo possano essere utili per introdurre il lettore al libro.
Si coglie la fatica dell’analista di lasciare il sapere per il quale ha investito energie, tempo e denaro e conoscere ed applicare modelli psicoanalitici nuovi. A questo proposito Ferro, riferendosi alla psicoanalisi europea dice:
È come se in una sala operatoria si utilizzassero i bisturi che si usava nel 1902 (chiaro riferimento alla teoria freudiana). In seguito è arrivato il bisturi elettrico, oggi c’è quello laser. Ci sono tanti concetti che fanno parte della nostra storia, che è importante che ci siano stati, che sono stati preziosi ma che non ci servono più.”
(in corsivo le parole dell’autore).
Senza ombra di dubbio la capacità di “fare il lutto” di ciò che è stato utile è fondamentale nella vita, non solo per la psicoanalisi.
Guida per analisti e pazienti curiosi
Preferisco cominciare dai pazienti curiosi. Quest’ultimi forse si perderanno nelle disquisizione tecniche fra modelli, ma possono trovare alcune riflessioni interessanti.
Dove c’è amore e ispirazione
Non credo si possa sbagliare.
Ella Fitzgerald
Questa citazione mi pare possa sintetizzare bene il suggerimento di A. Ferro per affrontare la paura di sbagliare:
Ci vuole più una mentalità alla Fra Cristoforo: se una cosa è fatta dall’ analista con animo puro, non è poi un grande peccato. Ne conosco poche delle analisi rovinate perché l’analista ha detto una cosa in più o in meno. Ogni cosa è pura per le persone pure, e il paziente lo sa benissimo se l’analista è un furbo, un furbastro, un falso, un corruttore, o se è una persona dal cuore pulito. Il paziente questo lo sa, lo percepisce e ne è assolutamente consapevole, quindi non sarei tanto preoccupato di un errore; se uno compie un errore di tecnica poi vi pone rimedio.”
Non mi interessa entrare in una analisi dei modelli teorici psicoanalitici, sono più interessata a cogliere l’applicazione di questi contenuti ad altri contesti, sto pensando, per esempio alla genitorialità. Un giorno viene in studio da me un papà molto preoccupato, mi dice che ha perso la pazienza e ha fatto qualcosa di terribile, non era mai accaduto prima: ha dato uno schiaffo a suo figlio di 9 anni. Allora penso “Omia munda mundis”, sono le parole di Fra Cristoforo: “Tutto è puro per i puri”. Questo papà ha chiesto la consulenza proprio per essere aiutato a “stare meglio insieme” a suo figlio, è sinceramente interessato al benessere del suo piccolo, avrà modo di comprendere cosa è accaduto, avrà modo di recuperare.
Quanto pesa una lacrima?
Dipende: la lacrima di un bambino capriccioso pesa meno del vento,
quella di un bambino affamato pesa più di tutta la terra.
Gianni Rodari
Ho scelto una citazione di Rodari perché mi sembra racconti bene la strada che indica A. Ferro per far fronte al dolore.
Certo che c’è il dolore, nella vita esiste anche il dolore, ma non dobbiamo idealizzarlo come aspetto bello, su cui soffermarsi il più possibile, perché ce n’è talmente tanto nelle separazioni, nei distacchi, nelle morti, nelle malattie, quindi cerchiamo anche di fare altre cose in analisi. … Se pensiamo che da un momento all’altro possiamo avere un aneurisma che si rompe, se pensiamo a tutte le disgrazie che ci possono capitare, dalla meningite acuta all’infarto del miocardio a un tumore, ci mettiamo sul letto e non ci muoviamo più. Quindi noi ci difendiamo con l’onnipotenza, con la negazione. Un giusto mix di queste cose ci permette di vivere, di essere contenti perché abbiamo comprato i ravioli che mangeremo questa sera.”
Vorrei sottolineare la semplicità del linguaggio per esprimere “questioni del vivere” molto complicate. Un mix ben equilibrato di difese per far fronte all’ angoscia di morte è questione complessa.
Un ultimo spunto di riflessione per i curiosi: la trasformazione in gioco. A. Ferro racconta di una supervisione, ossia l’analisi di un caso clinico raccontato da una collega. Si trattava di un bambino molto vivace e piuttosto incontenibile.
Questo bambino si era messo a fabbricare degli aerei di carta – che erano dei razzetti più che degli aerei – e aveva cominciato a lanciarli all’analista, finché uno di questi aerei l’aveva colta nell’angolo dell’occhio, facendole francamente male. Allora, questa signora assolutamente compassata si era arrabbiata e sua volta aveva cominciato a fare dei razzetti e a lanciarli, con violenza sempre crescente. Accadde che uno di questi razzetti colpì il bambino proprio nell’occhio, nella cornea, e lei si bloccò preoccupata, chiedendosi: “Oh, Dio mio, che cosa sto facendo, che cosa ho fatto?”. Allora interruppe il gioco, mentre il bambino aveva cominciato a dirle una serie di parolacce, le più oscene e da scaricatore di porto che potesse conoscere: Questa collega rimase per un poco come sotto shock, finché ebbe un’idea assolutamente geniale – non so se chiamarla idea – ebbe un comportamento intuitivo, e iniziò a trasformare questa serie di parolacce in questo modo, mettendole in strofa sotto forma di filastrocca con le rime baciate. E questo bambino in qualche modo si incantò. Dopo una sfilza di parolacce e relative filastrocche, disse: “Adesso lo faccio anch’io, dimmi tante parolacce, di a me le parolacce!”. Allora lei cominciò a dirne di tutti i colori, e il bambino a sua volta trasformò queste parolacce in una filastrocca, rivolgendo questi versi, come di una poesia, all’ analista. E questo gioco andò avanti: più che insultarsi o farsi del male, a quel punto giocavano a dirsene di tutti i colori, però sotto forma di filastrocca.”
Ho riportato tutto l’episodio raccontato nel libro sperando che la semplicità delle parole raggiunga anche coloro che non hanno una formazione psicoanalitica, ma magari come genitori, si interrogano su cosa avviene nella stanza con i bambini in terapia durante la psicoterapia. La rabbia, l’aggressività violenta, la sofferenza non vengono evitate, ma trasformate in gioco e quindi possono essere tenute vive come patrimonio del piccolo paziente e della relazione.
Per gli analisti o gli psicoterapeuti che non conoscono il pensiero di A. Ferro il libro può essere una sorta di “bignami”, ovvero uno stringatissimo riassunto di un modello complesso, molto articolato che l’autore, come altri psicoanalisti citati (T. Ogden e J.Grostein), descrivono spesso con un linguaggio che raggiunge facilmente solo il clinico esperto. Auspicando che l’estrema semplificazione non favorisca facili fraintendimenti, “Pensieri di uno psicoanalista irriverente” può stimolare il desiderio di approfondire il modello di campo post-bioniano ancora poco conosciuto.